Mai come oggi l’economia mondiale si regge sul debito: siamo a 230 mila miliardi di dollari a livello globale. E adesso?
Borse vivaci, dati economici incoraggianti. Il merito? Tutto delle banche centrali. Che però, sostenendo l’economia reale, hanno prodotto una gigantesca massa di debito. E adesso si teme la slavina. Non lo dice espressamente ma lo lascia intuire il Global Debt Monitor di gennaio a cura dell’Institute of International Finance, associazione globale dell’industria finanziaria che di recente ha presentato i dati aggiornati al terzo trimestre del 2017.
Rischio valanga. Un rapporto che come minimo fa riflettere: ci rivela, infatti, che fra Stati, famiglie, società finanziarie e non attualmente il debito globale ammonta a 233 mila miliardi di dollari. Una cifra monstre, superiore, come ha fatto notare qualcuno, al PIL delle 100 maggiori nazioni del mondo. E non è solo il valore assoluto che genera turbamento. È anche e soprattutto la variazione: l’8% in più, equivalenti a 16.500 miliardi, rispetto alla fine del 2016. Ovvero, in appena tre trimestri. Secondo le Nazioni Unite, attualmente la popolazione globale conta ben 7,6 miliardi di individui: in pratica, è come se ciascuno di noi avesse un debito superiore a 30mila dollari.
Chiodo non scaccia chiodo. Allargando l’orizzonte temporale, il debito globale è salito di 71 mila miliardi in 10 anni: come a dire che per risolvere la bolla dei subprime del 2007 – generata, lo ricordiamo, dal debito a basso costo contratto negli Stati Uniti da privati e famiglie ad alto rischio di insolvenza, rilevatisi poi puntualmente insolventi – abbiamo prodotto altro debito, sia pubblico sia privato. Ed estendendo ancora di più la linea temporale, emerge come in 20 anni la cifra sia cresciuta di 163 mila miliardi: ben il 70% in più.
Ma anche il PIL è cresciuto (almeno un po’). Numeri ancora più significativi se si pensa che ogni anno il Prodotto Interno Lordo aumenta di circa 77mila miliardi di dollari. Il Global Debt Monitor sottolinea però anche come tutto questo debito abbia nell’ultimo anno portato qualche risultato: il rapporto tra debito e PIL è infatti diminuito per il quarto trimestre consecutivo grazie alla seppur modesta crescita economica (resa possibile, per l’appunto, dallo stesso debito). Il rapporto debito/PIL ora si attesta al 318%, tre punti percentuali in meno rispetto al terzo trimestre 2016.
Un esempio quotidiano. Per mettere meglio a fuoco il meccanismo debito-crescita, pensiamo alla nostra vita quotidiana. Esce il nuovo smartphone ma non abbiamo i soldi per comprarlo. Allora chiediamo un prestito e lo acquistiamo. In questo modo, facciamo girare l’economia: ma lo facciamo, appunto, contraendo un debito (per quanto piccolo). Immaginiamo questa “ruota” che gira a livello planetario: arrivare a 233 mila miliardi di dollari di debito globale e a un rapporto debito/PIL del 318% è tutt’altro che fantascientifico.
Banche centrali. Ricapitolando: 10 anni fa l’economia si è ammalata, quindi le è stato somministrato un farmaco affinché potesse riprendersi, ma il farmaco rischia adesso di avere effetti collaterali uguali o peggiori della malattia curata. Chi è il medico responsabile di ciò (e che, in realtà, all’epoca non aveva molte altre soluzioni a disposizione)? Le banche centrali, che dal 2008 hanno messo in campo politiche monetarie super espansive, pompando soldi nel tessuto economico attraverso acquisti straordinari di asset e tassi di interesse ai minimi. Interventi che hanno fatto proliferare il debito: accedere a finanziamenti, a tutti i livelli, è stato più facile proprio per via dei tassi così bassi. Ma siamo sicuri che tutti saranno in grado di rimborsare i prestiti ricevuti?
Il battito della farfalla. Si è soliti dire che “il battito d’ali di una farfalla può scatenare un uragano a migliaia di chilometri di distanza”. La riforma fiscale voluta dal presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump potrebbe sembrare un fatto lontano, che non ci riguarda. Ma attenzione: tra le misure approvate c’è la riduzione della tassazione per le aziende che rimpatriano capitali negli USA. Ulteriore liquidità che torna in circolo e che potrebbe spingere la Federal Reserve a un rialzo dei tassi più rapido e incisivo. E le altre banche centrali potrebbero rispondere, è il caso di dirlo, con la stessa moneta. Ma tassi più alti vuol dire, per chiunque abbia preso un finanziamento – pensiamo ai mutui a tasso variabile, per esempio – più soldi da restituire. Insomma, più debito. Sarà interessante vedere come ne verremo fuori questa volta.
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