Non è obbligatorio diventare vegani: ecco il regime reducetariano e altre soluzioni per fare la cosa giusta senza strappi o scelte radicali
Come sottolineato di recente anche dalla prestigiosa rivista Lancet, ormai il nostro rapporto con il cibo sembra essersi rotto. «Per la prima volta in 200mila anni di evoluzione umana, siamo gravemente fuori sincrono con il pianeta e la natura», leggiamo sulle pagine di Lancet, che ha chiesto a una serie di esperti di stilare il menu ideale per chi vuole provare a ricomporre questa frattura. Le diete prevalenti oggi nel mondo, infatti, non fanno bene né al nostro corpo né al nostro pianeta. Il bestiame produce il 18% delle calorie che consumiamo, ma per farlo utilizza l’83% dei terreni agricoli del mondo. Eliminare il consumo di carne e derivati è il singolo atto col maggiore impatto globale che possiamo fare individualmente. Tagliare questi prodotti riduce anche i rischi di malattie cardiache, diabete, cancro. Questo tipo di scelte però hanno il problema di tutte le svolte radicali: uno stile di vita sostenibile per il pianeta può essere messo in atto solo se risulta sostenibile anche per voi. Per questo motivo potete prendere in considerazione una dieta «reducetariana», che vi mette al riparo da scelte troppo drastiche («o tutto o niente»), mantenendo un impatto positivo sul vostro contesto, sul vostro futuro e sul vostro organismo.
La soluzione reducetariana. Il termine reducetariano è stato coniato da Brian Kateman, docente all’Earth Institute Center for Environmental Sustainability della Columbia University. Dopo la pubblicazione del libro, The Reducetarian Solution, Kateman ha creato una la Reducetarian Foundation, per promuovere questo stile di vita nel mondo. I principali vantaggi di questa «soluzione» sono la flessibilità e l’inclusività: le ricette e i metodi pescano dal vegetarianesimo, dal veganesimo, e da tutti gli stili di vita basati sulla riduzione dei prodotti animali. L’obiettivo di fondo è ridurre il consumo di carne almeno del 10%. Nell’ottica di una dieta reducetariana, le possibilità sono molteplici: confinare il consumo di carne a un solo pasto al giorno, sostituire il pollo con un equivalente di origine vegetale come il tofu, scegliere un giorno della settimana senza carne. Oppure potete attuare un taglio delle proteine animali all’interno di ogni pasto (se siete abituati a metterne 100 grammi, provate a scendere a 70). Il punto di partenza è una valutazione onesta e obiettiva di quanta carne consumate nell’arco della settimana. Da quel punto in poi qualsiasi riduzione consapevole e motivata è già considerata reduceteriana. Il sito ufficiale della Fondazione contiene un’articolata sezione di ricette, che vanno dal guacamole allo scramble di tofu, ma data la flessibilità di questo regime, potete usarle più che altro come fonte di ispirazione per i giorni in cui sarete a corto di idee.
La dieta che ci salverà tutti. Un punto di riferimento interessante è anche la dieta proposta dalla commissione convocata da Lancet con la quale abbiamo introdotto questo articolo: si tratta di una variante di quella mediterranea, con una riduzione di uova, carne e pesce, basata su un intake di 2500 calorie al giorno. La commissione l’ha battezzata: «dieta planetaria». Le medie di base del regime alimentare per salvare il mondo sono queste: 50 grammi di noci al giorno, 75 grammi di legumi, un uovo e mezzo a settimana, due porzioni di pesce (28 grammi al giorno) e due di pollo a settimana (29 grammi al giorno), una porzione di carne rossa al mese, 250 grammi di latticini (l’equivalente di un bicchiere di latte), 300 grammi di verdura, 200 di frutta e 232 grammi di carboidrati, come pane e riso. La dieta planetaria è stata promossa anche dalle Commissione ONU sul cambiamento climatico con la frase: «Food can fix it». Il cibo può risolvere i problemi. In questo modo, per altro, le morti premature nel mondo causate da malattie legate all’alimentazione si ridurrebbero fino al 23%.
E voi? Ridurreste il consumo di carne per garantire un futuro migliore ai vostri figli?
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