In che cosa consistono le politiche monetarie messe in atto dalle banche centrali e come possono contribuire a mitigare l’impatto economico della crisi legata al coronavirus?
Oggi non esiste ancora una cura per il coronavirus e per ottenere un vaccino ci vorranno diversi mesi, a essere ottimisti. Quindi al momento l’unico modo per contrastarlo è il distanziamento sociale, termine diventato ormai tristemente noto in coppia con “lockdown”. E non si sa quanto a lungo queste misure rimarranno in vigore, in Italia come altrove. L’unica certezza è che, tra le tante conseguenze drammatiche dell’epidemia, ci sarà anche un danno economico ad oggi ancora difficile da quantificare.
Pensiamo alle imprese: lo stop all’attività produttiva significa un crollo immediato dei ricavi, pur dovendo continuare a pagare salari, oneri finanziari, spese di mantenimento degli impianti. Senza considerare le perdite accumulate dai mercati finanziari, in questa fase così delicata totalmente in balìa della volatilità.
Per cercare limitare i danni, governi e istituzioni hanno messo in campo tutta la loro potenza di fuoco. In particolare, a giocare un ruolo fondamentale sono di nuovo le banche centrali, il cui compito principale sarebbe quello di tenere sotto controllo l’inflazione modificando la quantità di moneta disponibile nel sistema economico.
Come funziona la politica monetaria? La leva principale attraverso cui le banche centrali controllano la quantità di moneta in circolo nell’economia è costituita dai tassi di interesse primari, che determinano il costo del denaro per l’intero sistema bancario, finendo per influenzare anche i tassi offerti dalle filiali ai clienti per conti correnti e mutui. La variazione del livello dei tassi di interesse ha moltissime implicazioni anche per l’andamento dei mercati finanziari: per esempio, quando i tassi sono alti i rendimenti degli investimenti obbligazionari sono più elevati, ma lo sono anche i tassi dei mutui (e viceversa).
A seconda dell’obiettivo che si vuole raggiungere, le banche centrali possono adottare un atteggiamento espansivo o restrittivo.
- Una politica monetaria espansiva mira a immettere liquidità nel sistema economico e a stimolare gli investimenti e la produzione di beni e servizi attraverso l’aumento dell’offerta di moneta (riduzione dei tassi di interesse). È stata applicata negli ultimi anni dalle principali banche centrali, come la BCE e la Fed, ed è lo stesso approccio che gli istituti stanno tornando ad adottare per contrastare gli effetti della crisi legata al coronavirus.
- Una politica monetaria restrittiva punta invece a ridurre la liquidità del sistema – riducendo l’offerta di moneta e quindi aumentando i tassi d’interesse – rendendo meno conveniente investire e produrre per attenuare gli effetti della crescita economica e, in ultima analisi, limitare le pressioni inflazionistiche.
Che cos’è il Quantitative Easing? I tassi di interesse non sono l’unico strumento nelle mani delle banche centrali. In situazioni eccezionali – come quella attuale – gli istituti centrali possono ricorrere a “strumenti non convenzionali” per controllare la politica monetaria, per esempio “iniettando” denaro direttamente nell’economia.
Stiamo parlando di Quantitative Easing (noto anche come QE), ovvero la strategia che fa sì che una banca centrale acquisti, per una predeterminata e annunciata quantità di denaro, attività finanziarie dalle banche, con effetti benefici sulla struttura di bilancio di queste ultime. Questo con l’obiettivo di mettere in circolazione nel sistema liquidità a vantaggio delle banche e soprattutto, attraverso di esse, delle famiglie e delle aziende, per stimolare la crescita economica.
Le risposte all’emergenza Covid-19? Al momento tutte le banche centrali condividono il medesimo obiettivo: contrastare gli effetti economici della pandemia. Uguale l’intenzione, diversi i tempi e le modalità. Questo il bollettino, aggiornato al 2 aprile 2020, dei principali istituti qui in Occidente.
- Banca Centrale Europea
Il 12 marzo ha annunciato un potenziamento del QE con un piano di nuovi acquisti per 120 miliardi di euro entro l’anno e una nuova tranche di prestiti alle banche per supportare la liquidità, ma senza ulteriori revisioni dei tassi. Una mossa che i mercati hanno giudicato ampiamente insufficiente per fronteggiare la crisi, tanto da costringere Francoforte a “correggere il tiro” e a varare un nuovo QE da 750 miliardi di euro, con acquisti di titoli del settore pubblico e privato. E, in aggiunta, l’istituzione del PEPP – il Pandemic Emergency Purchase Programme – per evitare ulteriori pressioni sui Paesi dell’area euro altamente indebitati, tra cui l’Italia. - Federal Reserve
La Fed ha abbassato i tassi portandoli, nel giro di poche settimane, prima all’1%-1,25%, e poi allo 0-0,25%, lanciando al contempo importanti misure espansive. Tra queste, un QE da 700 miliardi di dollari e un piano d’acquisto di obbligazioni corporate a breve termine per garantire la liquidità delle imprese. Non solo: a fine marzo, mentre gli States registravano una variazione al rialzo monstre per le richieste di sussidi di disoccupazione, la banca centrale ha annunciato l’acquisto “senza limiti” di bond e securities e nuove linee di credito straordinarie per imprese e amministrazioni locali. - Bank of England
La BoE ha tagliato il tasso d’interesse prima dallo 0,75% allo 0,25%, e poi dallo 0,25% allo 0,1%, portando il suo QE a 645 miliardi di sterline, dai precedenti 200 miliardi.
Se la politica monetaria non basta. Insomma, per il momento sembra che l’arsenale delle banche centrali non sia ancora esaurito. Va detto però che una politica monetaria più espansiva non può risolvere da sola uno shock dell’offerta, ma può solo contribuire ad attutire lo shock della domanda, per esempio stimolando i consumi: ecco perché è importante che le (fondamentali) mosse delle banche centrali siano accompagnate da altrettanto adeguate misure di politica fiscale.
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