Elon Musk non fa solo auto elettriche, così come Jeff Bezos non è solo il patron di Amazon: entrambi si sono lanciati in avanguardistiche iniziative di Space Economy. Scopriamo cos’è, e dove va, questo settore emergente
Un evento spaziale si terrà a Roma dal 10 al 12 dicembre 2019. “Spaziale” nel senso più letterale del termine: l’ASI, l’Agenzia Spaziale Italiana, proporrà in queste date la prima fiera italiana e internazionale dedicata alla Space Economy. Una formula, questa, che compare anche in un recente bando del ministero dello Sviluppo Economico, il quale stabilisce tempi e condizioni per la presentazione, da parte delle imprese in possesso dei requisiti previsti dal Programma Mirror GovSatCom, delle domande per il sostegno a progetti di ricerca industriale e di sviluppo sperimentale nell’ambito del Piano Strategico Nazionale e degli Accordi di Innovazione per la Space Economy. Le risorse a ciò destinate ammontano a 100 milioni di euro. Sarebbe utile capire, a questo punto, cosa s’intende per “Space Economy”.
Cos’è l’“economia dello spazio”? Il 2019 è stato l’anno del 50esimo anniversario del primo allunaggio. Sebbene da un po’ noi ominidi non poggiamo il nostro avventuroso piede sulla Luna, lungo l’arco di questi cinque decenni le osservazioni e le esplorazioni spaziali sono proseguite. Anche in virtù dell’innovazione tecnologica, che rende tutto sempre più facile. Per i governi, ma anche per gli affari. Come, gli affari? Ecco, pensate a internet: 30 anni fa era un’infrastruttura gestita dai governi con finalità militari, e non si pensava ancora a un suo sviluppo a scopi commerciali; poi l’iniziativa privata è scesa in campo e ha dato il via alla rivoluzione. Questo è quanto ci si aspetta che accada con lo spazio, dove i capitali privati hanno già messo il loro piedino: SpaceX di Elon Musk, patron di Tesla, Blue Origin di Jeff Bezos, fondatore e numero uno di Amazon, e Virgin Galactic di Richard Branson, per citare i casi più eclatanti. Musk ha annunciato la produzione di un nuovo razzo vettore, lo Starship Mk1, atto a trasportare 150 tonnellate di materiale e uomini: più potente perfino del Saturno V di Wernher Von Braun, con cui siamo andati sulla Luna. I test iniziali potrebbero prendere il via già nel 2020. Space Economy vuol dire dunque nuove avveniristiche navicelle spaziali, solo fatte con capitali privati piuttosto che con fondi pubblici?
Non solo razzi e navicelle spaziali. La Space Economy – anzi, la New Space Economy, perché qui stiamo parlando di economia spaziale di nuova generazione – si muove su due livelli: upstream, ossia tutto quello che ruota intorno alle operazioni nello spazio; e downstream, che riguarda le attività a terra legate alle infrastrutture spaziali (satelliti e dintorni). È il caso dell’oceanografia, il monitoraggio degli oceani, che consente di avere un’idea della qualità dell’acqua per prevenire i danni alla produzione di pesce, aiutando a individuare i punti in cui andare a fare gli impianti. Come? Elementare, Watson: usando i dati che arrivano dallo spazio. Dati utili anche su un altro fronte, quello dell’analisi degli eventi atmosferici per ridurre gli effetti collaterali, anche in termini di costi, sull’agricoltura. Ma c’è anche il cosiddetto “space mining”, l’attività mineraria spaziale, per la ricerca di materie prime utili per la Terra, dove molte risorse sono presenti in quantità limitata e/o il loro utilizzo ha un impatto ambientale non da ridere. Esiste per esempio un isotopo, raro sul nostro pianeta ma che può essere presente in quantità sugli altri della nostra galassia: si chiama elio 3 e potrebbe essere utilizzato per produrre energia.
Quanto vale la Space Economy? Si stima che nel mondo la Space Economy valga 350 miliardi di dollari. Nell’ambito del programma quadro Horizon Europe, l’Europa conta di investire 16 miliardi di euro nel periodo 2021-2027. Alla conferenza ministeriale dei 22 Stati che compongono l’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, il 27 e 28 novembre 2019 a Siviglia, si deciderà come ripartire i fondi e si selezioneranno i programmi che ne beneficeranno. In questo quadro si inserisce l’Italia, che è appunto fra i 22 membri dell’ESA. Sul sito della nostra agenzia spaziale (ASI, Agenzia Spaziale Italiana), leggiamo che “oltre il 40% del volume abitabile della Stazione Spaziale Internazionale è realizzato in Italia”. Attualmente contiamo circa 250 aziende, specialmente piccole e medie, con circa 7.000 addetti. Quasi 2 miliardi il fatturato nel 2017. Numeri interessanti di una interessantissima economia emergente. Che potrebbe portarci fino ai confini della galassia, e forse anche oltre.
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