Per le quotazioni di greggio la corsa a perdifiato, tutta in discesa, ha subito un’accelerazione a marzo, dopo la fumata nera del meeting OPEC+ a Vienna. Ora l’Organizzazione prova a correre ai ripari
Ce l’abbiamo fatta, alla fine: si è svolto il 9 aprile, ovviamente in videoconferenza, il meeting straordinario dell’OPEC+, convocato per discutere di “stabilizzazione” del mercato petrolifero e di una “nuova dichiarazione di cooperazione”. Tradotto: i prezzi del barile di petrolio greggio – per il mercato fanno fede le due qualità più pregiate, il Brent dei Mari del Nord e il West Texas Intermediate – sono scesi troppo e bisogna correre ai ripari. Ebbene, che cosa si è deciso? Che si taglia la produzione: ma sembra proprio che il mercato non consideri sufficienti le riduzioni concordate.
I tagli non hanno convinto il mercato. I tagli concordati in sede OPEC+ finora non sono bastati a risollevare le quotazioni in picchiata in scia al poderoso calo di domanda e produzione. Ancora alla data del 15 aprile a prevalere erano le vendite, specialmente dopo che l’Agenzia Internazionale per l’Energia ha fatto sapere di includere nelle sue previsioni un crollo storico della domanda nel 2020, con una riduzione nel mese di aprile che non si vedeva da un quarto di secolo. Risultato? Il Futures a maggio del WTI era sui 19 dollari al barile, con un nuovo minimo dal gennaio 2002 a 19,22 dollari, il Brent sui 28 dollari.
Nient’altro che il prosieguo, questo, di un percorso tutto in discesa iniziato a marzo, al meeting OPEC+ di Vienna: la Russia ha reagito alla proposta di ulteriori tagli alla produzione con un “niet”, l’Arabia Saudita – leader OPEC e fino a quel momento suo grande alleato – ha risposto incrementando export e produzione. Ciò, però, a fronte di una domanda al palo a causa della pandemia di coronavirus. Conseguentemente, i prezzi sono andati giù. Dal che, il meeting straordinario di aprile.
Chi è, e cosa ha deciso, OPEC+. Sappiamo che dal 1960, quindi non da ieri, esiste l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, meglio nota come OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries). Perché ora quel “+” finale? Non è, in verità, una novità recente: nel novembre del 2016 l’OPEC decise di tagliare la produzione di 1,2 milioni di barili al giorno a cominciare dal primo gennaio 2017, anche in quel caso per risollevare le quotazioni in sofferenza per via dell’eccesso di offerta; e per la prima volta ai tagli aderirono anche Paesi non OPEC, come la Russia. Sancendo di fatto la nascita di OPEC+.
I 14 Paesi OPEC – Algeria, Angola, Ecuador, Guinea Equatoriale, Gabon, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Venezuela – e i 10 Paesi non OPEC – Azerbagian, Bahrain, Brunei, Kazakhstan, Malesia, Messico, Oman, Russia, Sudan, Sud Sudan – insieme rappresentano la metà della produzione globale. Fermo restando che la top ten dei produttori vede gli USA al primo posto.
Cosa sappiamo degli ultimi tagli OPEC+? L’Organizzazione in versione estesa è riuscita ad accordarsi su nuovi tagli alla produzione a partire da maggio. Tale accordo, però, è rimasto per un po’ appeso a un interrogativo: il Messico – Paese non OPEC – avrebbe accettato la riduzione assegnatagli, pari a 400 mila barili al giorno? Le anticipazioni non deponevano a favore dell’ipotesi di un “sì, lo voglio”: per il Messico, infatti, 100 mila bastavano e avanzavano.
E dato che il Messico non era disposto ad accettare la totalità dei tagli assegnatigli, OPEC+ ha rivisto lievemente al ribasso la portata complessiva dei tagli, accettando di ridurre la produzione di 9,7 milioni di barili al giorno a maggio e giugno e passando poi a 7,7 milioni di barili al giorno nella seconda metà del 2020 (e a 5,8 milioni di barili al giorno da gennaio 2021 alla fine di aprile 2022). La prossima riunione è prevista per il 10 giugno: allora si stabilirà se bisognerà intraprendere ulteriori azioni.
Basterà la nuova dieta OPEC+? Putroppo, parrebbe di no. Il surplus atteso per il secondo trimestre è ancora notevole, e molti Paesi consumatori (tipo la Cina) stanno approfittando dei prezzi da saldo per incrementare le loro scorte, cosa che contribuisce a tenere alto il surplus sopra menzionato. Si rischia dunque un ulteriore ribasso dei prezzi, almeno nel breve termine. Poi molto dipenderà dalla direzione che prenderà la domanda. E proprio la domanda rimane uno dei principali motivi d’incertezza: se restrizioni e blocchi proseguiranno nella seconda metà del 2020, sicuramente la richiesta non ne trarrà alcun beneficio. Anzi.
Altra incognita è il delicato passaggio dalla premessa alla pratica: quanto i Paesi OPEC+ si atterranno all’impegno assunto? Più grandi sono i tagli, infatti, e maggiore è il rischio che alcuni produttori non rispettino la loro quota. Per giunta, a differenza degli accordi precedenti, stavolta difficilmente l’Arabia Saudita riuscirà a ridurre ulteriormente la sua produzione per compensare le mancanze altrui, data la dimensione dei tagli che ha già accettato di accollarsi. Per finire, l’OPEC+ ci ha forse messo troppo tempo a prendere le dovute contromisure, le quali entreranno in vigore in un momento in cui la domanda sta già ampiamente subendo gli effetti della pandemia.
E gli altri produttori che fanno? Dopo la riunione OPEC+, si sono incontrati anche i ministri dell’Energia del G20. Che però, nel comunicato del meeting, non hanno menzionato alcun taglio da parte degli altri produttori. Ci sono state invece promesse “di prendere tutte le misure necessarie e immediate per garantire la stabilità del mercato dell’energia”. Il che vale anche per gli Stati Uniti, primi produttori al mondo e, come tali, non indifferenti ai prezzi in verticale ribasso.
Resta da vedere se l’azione di tutti – OPEC+ e non – basterà a dare la scossa oppure no, in una fase storica che pone tutti di fronte a sfide senza precedenti.
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