Probabilmente siete pagati meno di altri colleghi. Sappiate che, secondo un tradizionale modo di intendere la competizione aziendale, ciò serve a motivarvi. Gli economisti la chiamano, appunto, “teoria della competizione”
Si sa: la competizione regola i meccanismi della remunerazione sul luogo di lavoro. E non da oggi. In economia la chiamano “teoria della competizione”, o tournament theory. Si tratta di questo: lasciando stare l’annosa questione del gap tra uomini e donne (facciamo qui finta che non esista), in un’azienda ognuno viene retribuito sulla base della sua posizione relativa piuttosto che in virtù del grado assoluto della sua produzione. E una retribuzione più alta riconosciuta a uno solitamente incentiva gli altri a migliorare strategie e linee di condotta. Ma questa pratica non ha mancato di suscitare critiche nel corso degli anni.
Come nasce la “teoria della competizione”. L’idea è in circolazione dalla fine degli anni Settanta, quando due economisti dell’Università di Chicago, Edward P. Lazear e Sherwin Rosen, suggerirono che uno schema retributivo basato sulla posizione relativa della persona in azienda potesse essere il modo migliore per allocare le risorse, piuttosto che guardare al dato assoluto della sua resa nel lavoro. Uno dei motivi è che è molto più facile definire la remunerazione alla luce del confronto, e dunque del fatto che Giulia è più brava di Gianni. Tuttavia, c’è un caveat: i dipendenti più bassi in grado a questo punto si sentono motivati a fare di più solo se esiste ed è concreta e tangibile la possibilità di salire di livello. Ma nelle grandi aziende passare al girone successivo, specialmente in termini di aumento salariale, spesso è l’eccezione piuttosto che la regola.
Effetti collaterali indesiderati. Inoltre, la pratica potrebbe essere utilizzata per giustificare strutture di pagamento ingiuste. E potrebbe ostacolare il lavoro di squadra, dal momento che in quest’ottica lavoratori e lavoratrici sono giudicati in base alle loro prestazioni individuali, cosa che rischia di dar vita a colpi bassi e sgambetti variamente declinati. Però ciò non vuol dire che la competizione sul luogo di lavoro sia il male assoluto. “The Gamification Report 2019” di One4all ha approfondito il tema della gamification applicata al posto di lavoro, con i premi che vengono più frequentemente assegnati in base alle attività completate o all’incarico svolto bene piuttosto che sotto forma di bonus una tantum. Ebbene, i risultati dimostrano che in questo modo i dipendenti sono più coinvolti e produttivi. Tale modalità consente peraltro di affiancare alla ricompensa individuale quella per il contributo dell’intero gruppo di lavoro.
Molto più che una questione di soldi. Gli esperti hanno anche suggerito che la tradizionale teoria della competizione, che fa leva esclusivamente sugli incentivi monetari, può funzionare bene in astratto, ma presenta una serie di punti deboli dal lato della gestione della remunerazione nei luoghi di lavoro moderni. Questo perché le persone apprezzano più altre ricompense, come l’assicurazione sanitaria e un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata, rispetto ai premi puramente monetari. Peraltro, un beneficio aggiuntivo di questo tipo comporta per l’azienda un costo più contenuto rispetto al semplice aumento dello stipendio. Va poi aggiunto che la teoria della competizione potrebbe essere in conflitto con lo spirito stesso dell’attuale luogo di lavoro, costruito il più delle volte attorno al team e alla collaborazione e sempre meno animato dalla ricerca dell’eccellenza individuale, che è invece quella su cui si concentra la ricompensa così come intesa nella tradizionale teoria della competizione. La quale, oggi, sembra giocoforza destinata a mutare. Sì, perché la teoria in sé – con la sottostante spinta alla competizione – non finirà in soffitta: semplicemente, dovrà adeguarsi ai tempi.
La competizione si adatta ai tempi. L’abbiamo già citata, ma ora andiamo a dettagliare un po’ meglio. Una soluzione per premiare la collaborazione e stimolare l’impegno dei dipendenti può essere appunto la gamification. “The Gamification Report 2019” menzionato prima evidenzia come il 38% dei dipendenti ritenga che lavorare con l’obiettivo di ottenere premi e bonus renderebbe il lavoro più divertente. Ma la gratificazione deve arrivare a stretto giro e non a fine anno o chissà tra quanto tempo: aspettare troppo per ottenere quel che ci spetta è quasi come non ottenerlo affatto. La gamification può quindi rappresentare la nuova fase della teoria della competizione, spostandone il baricentro dalla posizione relativa in azienda al risultato, non solo individuale ma anche e soprattutto del team. Promuovendo così un sano gioco di squadra.
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