Gender diversity in azienda, a che punto è l’Italia?

La legge Golfo-Mosca del 2011 ha stimolato qualche cambiamento nei comportamenti delle imprese quotate, ma molto resta da fare: Consob elenca i numeri e dà il suo ok a un nuovo intervento normativo

A che punto siamo con la diversità di genere ai livelli apicali delle aziende in Italia? La Consob ha fatto il punto il 7 maggio di fronte alla Commissione Finanze e Tesoro del Senato, nel corso dell’audizione svoltasi nell’ambito dell’istruttoria su due di disegni di legge: il primo sulla parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati, il secondo sull’equilibrio tra i generi negli organi delle quotate, entrambi da realizzare con modifiche alle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria contenute nel decreto legislativo 58/1998. Cosa è emerso? Lo vediamo subito.

Quando (e come) è arrivata la svolta. Innanzitutto, secondo la Consob la crisi finanziaria del 2008 ha stimolato il dibattito in materia di board diversity, non solo in riferimento al genere ma anche all’età, alla nazionalità, alla formazione e all’esperienza professionale. All’interno di questo dibattito, si è ritenuto che la gender diversity potesse essere in grado di migliorare la qualità del governo societario e di mitigare i rischi di crisi. Tale dibattito si è tradotto in alcuni interventi normativi: in Italia, nel 2011, abbiamo avuto la legge Golfo-Mosca (legge 120/2011). La Consob, in audizione, ha spiegato che questo testo, “in via temporanea e sulla base di un principio di gradualità, ha riservato al genere meno rappresentato, per il primo rinnovo successivo all’entrata in vigore della stessa legge o alla quotazione della società, almeno un quinto dei componenti degli organi di amministrazione e controllo e almeno un terzo per i due successivi mandati”. La stessa Consob ha ricevuto poteri di regolamentazione e vigilanza in materia.

Com’era la situazione prima del 2011? Prima dell’entrata in vigore della legge, le donne erano fortemente sottorappresentate negli organi di governo delle società quotate: considerando il perimetro delle aziende quotate italiane, nel 2011 la presenza femminile si attestava fra il 6% e il 7% appena del totale dei consiglieri di amministrazione e al 6,5% dei membri dei collegi sindacali. Circa sette anni dopo, ovvero nel giugno del 2018, gli obiettivi di “quota” della Golfo-Mosca risultavano invece non solo raggiunti, ma addirittura superati, e senza che la Consob abbia dovuto applicare sanzioni: secondo l’ultima rilevazione della Commissione che vigila sulle società e la Borsa, che si riferisce appunto a quella data, la presenza delle donne era del 36% e del 38% circa, rispettivamente, nei cda e nei collegi sindacali delle aziende quotate.

Cos’è cambiato dopo la Golfo-Mosca. A valle dell’applicazione della legge, l’età media dei consiglieri di amministrazione delle quotate si è abbassata, mentre è aumentata la diversità in termini di età e profili professionali, così come la presenza di amministratori laureati e con un titolo di studio post-laurea. Dopo il 2011, poi, si è diffuso un metodo di selezione delle candidature basato più sull’esame dei curricula e meno sul ricorso alla rete delle conoscenze personali. Insomma, il processo si è fatto, nel complesso, più virtuoso. Alcune analisi – tra cui lo studio “Gender diversity e performance delle società quotate in Italia” – evidenziano anche positivi effetti sulle performance delle società, almeno laddove la presenza delle donne negli organi della società superi una soglia critica, pari a circa il 20% dell’intero collegio. Sul punto non sono tutti d’accordo: vero è, comunque, che gli investitori istituzionali mostrano un crescente apprezzamento per la gender diversity ai vertici delle imprese prese in considerazione per gli investimenti. Ultimo ma non per importanza: le aziende in cui sono presenti donne nei cda appaiono più sensibili ai temi della sostenibilità.

Ora, però, c’è un problema. Consob in audizione ha ricordato che “il vincolo della legge Golfo-Mosca opera su un orizzonte temporale definito di tre mandati consecutivi” e ciò comporta che dal 2022 la legge non sarà più vincolante per circa il 37% delle società oggi presenti nel listino. Percentuale destinata a crescere nei due anni successivi, arrivando al 59% nel 2023 e all’84% nel 2024. Fermo restando l’obbligo di rispettare le quote stabilite dalla legge Golfo-Mosca a carico delle neo-quotate: che comunque sono poche, se si pensa che negli ultimi cinque anni gli sbarchi in Borsa sono stati, in media, all’incirca sette all’anno. Dal che i due disegni di legge in esame, che prevedono un’estensione da tre a sei mandati consecutivi. Ipotesi che Consob approva, e spiega perché. La legge Golfo-Mosca ha sollecitato qualche timido cambiamento nei comportamenti delle aziende, ma dai dati emerge che tra le 34 società del Ftse MIB quelle che si sono dotate o stanno per dotarsi di regole statutarie che assicurano il mantenimento di una relativa gender diversity negli organi sociali sono appena quattro. Insomma, l’albero è stato piantato, ma le radici sono ancora poco profonde.

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