I pagamenti digitali crescono, ma non abbastanza. E l’Italia si conferma tra gli ultimi in Europa per pagamenti cashless. Lo riferisce il Cashless Society Index 2019 messo a punto da The European House – Ambrosetti
I pagamenti digitali stanno lentamente crescendo anche nel Belpaese, complice un progressivo cambiamento nella mentalità della popolazione e nell’atteggiamento degli esercenti, più propensi ad accettare le carte di pagamento rispetto al passato. Eppure, gli italiani restano fondamentalmente attaccati al contante, molto più dei loro cugini europei.
Contante, mon amour. A confermarlo è un recente studio di The European House – Ambrosetti, che ogni anno elabora un report volto proprio a valutare lo sviluppo della “cashless society” in Europa e nel mondo. Nel dettaglio, il Gruppo di Lavoro The European House – Ambrosetti ha messo a punto diversi strumenti di analisi per monitorare i risultati dell’Italia rispetto ai principali competitor internazionali e valutare il contributo dei pagamenti elettronici allo sviluppo del Paese. Il ventaglio include:
- il Cash Intensity Index (CII), per misurare l’incidenza del contante sul Prodotto Interno Lordo in 85 Paesi al mondo;
- il Cashless Society Index (CSI), che prende in esame 16 Key Performance Indicator, riconducibili a due aree di riferimento: “Fattori abilitanti” (ai quali viene attribuito un peso del 30%) e “Stato dei pagamenti” (al quale viene attribuito un peso del 70%);
- il Cashless Society Speedometer, che fotografa il dinamismo con cui i diversi Paesi europei (UE27 + Regno Unito) si muovono verso la cashless society;
- il Regional Cashless Index (RCI), per monitorare le differenze esistenti sul territorio italiano con riferimento al raggiungimento della cashless society.
“Cashless” a chi? Insomma, è emerso che nel 2019 l’Italia rimane stabile al 23esimo posto sui 28 Paesi dell’Unione Europea (i dati fanno riferimento al periodo precedente alla Brexit), con un CSI pari a 3,68 punti, superiore solo a quello ottenuto da Ungheria, Croazia, Grecia, Romania e Bulgaria (ma in miglioramento rispetto ai 3,5 punti del 2018).
Ai vertici si confermano invece i Paesi del Nord Europa: la Danimarca al primo posto con un punteggio di 8,16, seguita da Paesi Bassi (7,96) e Finlandia (7,77).
Non solo. L’Italia è anche tra le 35 peggiori economie al mondo per Cash Intensity, posizionandosi al 32esimo posto. Il contante in circolazione in Italia è cresciuto infatti costantemente nell’ultimo decennio, passando da 128 miliardi a 205,7 miliardi di euro tra il 2008 e il 2018. E se si considera l’incidenza del contante in circolazione sul PIL nazionale, la situazione non cambia: il valore è aumentato costantemente dal 2008 e ha raggiunto nel 2018 l’11,8%, superiore di 0,8 punti percentuali rispetto alla media dell’eurozona (11% nel 2018). Giusto per avere un parametro di riferimento, in Svezia si attesta all’1,5%.
Elogio della lentezza? Quanto alla velocità con cui i Paesi dell’Unione Europea si muovono verso la Cashless Society – parliamo del cosiddetto Cashless Society Speedometer – l’Italia risulta addirittura in rallentamento. L’indicatore attribuisce a ciascun Paese un punteggio da 0 a 100 a seconda della velocità con cui si stanno muovendo verso un obiettivo comune – ovvero il raggiungimento entro il 2025 del livello medio di transazioni pro-capite con carte di pagamento dei tre Paesi best performer europei, che sono Danimarca, Svezia e Regno Unito. Ebbene, nel Cashless Society Speedometer 2019 l’Italia ottiene un punteggio pari a 8,0, inferiore rispetto all’8,4 del 2018. Inoltre, secondo la simulazione, a parità di condizioni attuali e ipotizzando che i Paesi rimangano fermi, a tale velocità il nostro Paese potrebbe raggiungere la media corrente dell’Unione Europea solo nel 2040. Se invece anche gli altri Paesi europei si muovessero all’attuale velocità, l’Italia potrebbe raggiungere l’attuale media europea solamente nel 2110.
Il divario Nord-Sud. Guardando più da vicino alla dinamica dell’Italia, si riscontra un profondo divario tra Nord e Sud del Paese nell’utilizzo del denaro contante: la regione più “cashless” è la Lombardia, con un indice CSI di 7,32 punti, mentre fanalino di coda è la Calabria con un punteggio pari a 4,37.
I vantaggi del cashless. Eppure il passaggio verso una società “cashless” porta con sé dei vantaggi indubbi: i pagamenti digitali sono più comodi e veloci per i consumatori e consentono di tenere sotto controllo le entrate e le uscite con maggiore facilità. Anche gli esercenti traggono benefici dal non dover gestire il contante, evitando errori, furti, perdita di tempo per il deposito degli incassi e così via.
Senza parlare della Pubblica Amministrazione, per cui un’elevata digitalizzazione dei pagamenti significa da un lato la possibilità di offrire un servizio migliore al cittadino – permettendogli di eseguire le operazioni online senza più doversi mettere in coda allo sportello – e dall’altro la chance di compiere un passo in avanti nella direzione di una maggiore trasparenza.
Spingere sull’acceleratore. Va detto che negli ultimi anni si è assistito a diversi sviluppi in ambito normativo e regolamentare relativi al settore dei pagamenti elettronici: dall’avvio dell’identità digitale (SPID) nel marzo 2016 alla soppressione delle monete da 1 e 2 centesimi di euro dal primo gennaio 2018; dal divieto di pagare gli stipendi in contante dal primo luglio 2018 all’obbligo di fatturazione elettronica, esteso anche alle operazioni tra privati (persone fisiche o giuridiche) a partire dal gennaio 2019. Ci stiamo muovendo nella giusta direzione? Sì, anche se il passo è ancora troppo lento.
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