La scrittura come cura: la lezione di Miriam Previati

Miriam è un'attrice e autrice che crea laboratori online per usare la scrittura come terapia e auto-ascolto: scopri la sua storia nella nostra intervista

Miriam Previati è una donna dai molti talenti. Potremmo definire la sua vita come l’esplorazione delle infinite possibilità della creatività. «È davvero il filo che lega tutto quello che faccio ed è un’eredità di mio padre».
Ha 34 anni, è nata a Ferrara, vive a Roma dove coltiva la sua carriera di attrice per il cinema e la televisione. Gira cortometraggi, scrive favole (è di prossima pubblicazione un’antologia di fiabe per adulti). Ha fondato il collettivo Mujeres nel cinema, una rete che lega 10.000 donne che lavorano nel mondo degli audiovisivi. Non solo attrici e registe, ma anche lavoratrici di produzione e post-produzione. Ed è soprattutto una maestra della scrittura come terapia, un metodo per usare l’espressione scritta per capire, capirsi, affrontare la vita, trovare il bello nelle cose e crescere. Lo fa attraverso le experience di Airbnb (puoi scoprire tutti i dettagli qui, si può fare online) ed è un lavoro di cura, ricerca e relazione: «Ho questo imprinting naturale nel voler aiutare gli altri».

Miriam, come hai scoperto la scrittura?

«Direi che la conosco sempre. Ho imparato a cinque anni, prima ancora di andare a scuola, ero la piccola di casa con due fratelli grandi, ero curiosa e assorbivo tutte le informazioni che trovavo intorno a me. Mio padre mi raccontava favole, le registravamo su videocassette e io le disegnavo per trattenerle. L’ho perso a sette anni, la scrittura è stata innanzitutto un modo per rivivere i momenti felici con lui, per conservare le storie che aveva raccontato. Da adolescente, quando litigavo con gli amici, scrivevo favole per fare pace. Avevano finale aperto, era un modo per dire: “E ora che facciamo?”».

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Quali sono stati i momenti della tua vita in cui la scrittura ti ha salvata?

«Cinque anni fa sono passata attraverso la dolorosa fine di una relazione: sono stata lasciata dal mio compagno, è stata una cosa improvvisa, mi ha mandato in una depressione importante e scriverne mi aiutato a venirne fuori.

Ha fatto riaffiorare il dolore ed è servito a buttarlo via. Mi ha aiutato a ricostruire me stessa e la mia identità.

L’esperienza che propongo è proprio un percorso di analisi di sé, della parte positiva delle cose, per focalizzarci su quello che abbiamo e non solo su quello che ci manca».

La scrittura ti aiuta anche nel tuo lavoro di attrice?

«Molto. Mi permette di spaziare con la fantasia. Quando devo affrontare un provino, solitamente dal casting arriva una brevissima presentazione del personaggio, una scena e una sinossi. Scrivere mi aiuta a esplorare le possibilità di quel personaggio per interpretarlo al meglio. Creo un diario dove lo racconto, inventando dettagli, per dare background e senso alla recitazione. Da una singola frase magari scrivo due pagine. Serve a creare uno spazio emotivo».

La scrittura come terapia proposta da Miriam nelle experience online di Airbnb è aperta a tutti, non ha un pubblico specifico. Nella vita non si sa mai, potresti anche arrivare a pubblicare un romanzo (nel caso, qui ci sono i nostri consigli per farlo sfruttando il crowdfunding). Miriam lavora con gruppi di ventenni così come con gli anziani. L’esperienza può essere anche regalata a una persona cara, come invito ad aprirsi e raccontarsi, come dono di coppia, tra amici o in famiglia. Uno degli ultimi corsi che ha tenuto era con due anziani, ultra-novantenni, ed era il dono di una nipote che voleva conservare i loro ricordi. Il lavoro con loro è partito da un vecchio anello di fidanzamento, dalla ricette e dalle canzoni della loro vita.

Come mostri il potenziale della scrittura alle persone che arrivano da lei?

«Con l’empatia. Mi metto sul loro stesso livello e parto raccontando il ruolo che ha avuto la scrittura nella mia vita, come mi ha aiutato a superare la perdita di mio padre e la fine traumatica di una relazione. Tutti hanno sofferenze, ferite, è un modo per entrare in contatto, per dire: io ce l’ho fatta in questo modo, proviamo insieme a farlo, ti insegno la mia modalità e vediamo se può essere anche la tua».

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Come funziona il tuo metodo?

«C’è una struttura, ma è davvero flessibile. Per esempio, invito a fare esercizi su un quaderno che chiamiamo Solo cose belle, è un modo per fare brainstorming, per capire il potenziale personale, le cose belle che ci sono, le ricchezze che abbiamo, i desideri. Poi sulla base di quello che emerge da questo lavoro iniziale si procede insieme. A volte faccio quella che chiamo scrittura a esplosione: si prende una parola e la si fa esplodere, arrivando a creare liste di altre parole o idee, e da queste altre liste ancora. Di parola in parola, si scopre un po’ di sé stessi. Oppure faccio una serie di domande alle quali rispondere in forma di lettera».

In un certo senso, anche il percorso di Miriam Previati come autrice è nato così, con una lettera, idealmente indirizzata alla persona che l’aveva chiusa fuori dalla sua vita all’improvviso «Quel dolore», racconta, «mi ha fatto aprire nel cervello tantissimo rami». E così Miriam ha fatto quello che nella vita le riesce meglio, più naturale: scrivere. La nuvola e l’albero, il suo primo romanzo, nasce così, ed è un oggetto letterario peculiare, un libro game con quattordici finali diversi.

Il foglio bianco spaventa le persone: come si supera quella paura?

«Non dovendo per forza riempirlo, non trasformandolo in un obbligo o qualcosa che debba per forza funzionare. Dopo aver pubblicato il primo libro, scritto veramente d’istinto, la pressione mi bloccava, quindi lo capisco bene. Cerco sempre di partire da esercizi non complessi, in fondo una lista della spesa l’abbiamo compilata tutti. Gli obiettivi, anche i più enormi, si raggiungono a piccoli passi».

La scrittura come terapia è sempre per sé stessi o anche per qualcuno?

«Per sé stessi, sicuramente. Poi se arriva qualcosa da far leggere agli altri, bene. Ma non è quello il punto».

Quali obiettivi è giusto darsi nella scrittura come terapia?

«Libertà e fiducia. Sia verso di me che conduco il laboratorio che verso sé stessi. Libertà dai giudizi, dal non commentarsi se viene qualcosa di strano fuori, dalle aspettative».

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