Cos’è la procedura d’infrazione e cosa rischia l’Italia?

L’iter della procedura per debito eccessivo a carico dell’Italia è iniziato. Ma non è detto che vada a termine. Fatto sta che ad oggi abbiamo un rapporto debito/PIL superiore al 132%. Non senza ripercussioni sul mercato

Le sanzioni da parte dell’Europa sono sempre più vicine dopo la lettera che il 29 maggio la Commissione Europea ha inviato al ministro italiano dell’Economia Giovanni Tria, chiedendo spiegazioni sui mancati interventi per la riduzione del debito pubblicooggi oltre il 132% del PIL. L’Italia, infatti, nonostante i ripetuti ammonimenti ricevuti da Bruxelles, non ha attuato provvedimenti credibili per tagliare questo suo non indifferente fardello. Non solo: si appresta ad aumentarne il peso nel corso dell’anno corrente. Per questi motivi, anche il Comitato Economico Finanziario ha confermato il parere della Commissione, affermando che la procedura per deficit eccessivo verso l’Italia sarebbe “giustificata”. Ma in cosa consiste una procedura d’infrazione e cosa comporterebbe per l’economia italiana?

La procedura d’infrazione: cos’è? La procedura d’infrazione altro non è che una sanzione prevista per gli Stati membri dell’Unione Europea in caso di violazioni dei vincoli comunitari. La possibilità di attivare sanzioni è infatti uno strumento in capo alla Commissione UE regolato da due articoli (art. 258 e art. 260) del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) recepiti dall’articolo 117 della Costituzione italiana, il quale sancisce che la potestà̀ legislativa esercitata dallo Stato e dalle regioni deve rispettare i vincoli dell’ordinamento comunitario. La Commissione ha dunque l’obbligo di garantire che gli Stati membri applichino correttamente il diritto comunitario e può̀ intervenire quando non viene recepita integralmente una determinata direttiva entro il termine stabilito. Secondo i tecnici della Commissione UE, quindi, la procedura d’infrazione è giustificata, in quanto l’Italia ha reiteratamente violato le regole sul debito, rifiutando di rispettare gli ammonimenti UE.

Perché la procedura per debito eccessivo? Prima di tutto è necessario chiarire la normativa europea: è infatti secondo il Fiscal Compact – formalmente, Trattato sulla Stabilità – che l’UE è chiamata a prendere provvedimenti quando un Paese membro non rispetta una serie di requisiti, tra cui:

  • l’obbligo del pareggio di bilancio (cioè un sostanziale equilibrio tra entrate e uscite);
  • il vincolo dello 0,5% di deficit strutturale rispetto al PIL;
  • il tetto del 3% nel rapporto deficit/PIL (già previsto da Maastricht);
  • per i Paesi con un rapporto fra debito e PIL superiore al 60%, l’obbligo di ridurre tale rapporto di almeno un ventesimo all’anno, per raggiungere il fatidico 60%.

Qual è attualmente la situazione italiana? Non rosea: negli ultimi 12 anni il nostro debito pubblico è solo aumentato. Nel 2018 è passato dal 131,4% al 132,2% e nel 2019 si attesterà attorno al 133,7%, tagliando il traguardo del 135,2% nel 2020. Il deficit di bilancio messo in conto per quest’anno è sul 2%, ben sotto il limite del 3%, ma comunque rimarchevole considerando appunto il nostro sostanzioso rapporto debito/PIL.

Quali sanzioni sono previste? La procedura d’infrazione per debito eccessivo non è certo un gioco, anzi è alquanto severa. Le sanzioni previste sono:

  • una multa (fino a un importo massimo pari allo 0,5% del PIL), calcolata in base all’importanza delle norme violate e agli effetti della violazione sugli interessi generali dell’Unione Europea. In questo caso sarebbe intorno ai 9 miliardi di euro;
  • il congelamento dei fondi strutturali, ovvero dei finanziamenti che l’UE dà agli Stati membri per effettuare investimenti mirati alla crescita economica e occupazionale del Paese (l’Italia dovrebbe ricevere ben 73 miliardi di euro da 5 fondi strutturali entro il 2020);
  • l’interruzione dei prestiti concessi dalla Banca Europea degli Investimenti e l’uscita dal programma di acquisto di titoli di Stato della BCE (quindi in sostanza addio anche al Quantitative Easing).

Non solo: un Paese che dà una cattiva immagine di sé a livello finanziario non attira gli investitori. Se la sfiducia nei mercati sale, gli investitori vorranno essere remunerati di più per assumersi il “rischio-Italia” comprando le obbligazioni emesse dal nostro Stato. In questo modo, la spesa per gli interessi sui titoli del debito pubblico di nuova emissione aumenterà (e diminuirà il valore di quelli già emessi).

Quali saranno le prossime tappe? Dopo il parere negativo per l’Italia da parte del Comitato Economico e Finanziario del Consiglio UE, in base alla normativa sul funzionamento dell’Unione Europea le prossime date da segnare in agenda sono:

  • entro il 9 luglio: il Consiglio Ecofin (composto dai ministri dell’Economia e delle Finanze di tutti gli Stati membri), dopo un’attenta valutazione, deciderà se avviare le sanzioni. Se sì, partirà ufficialmente la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia;
  • entro il mese di luglio: verranno decisi termini e condizioni che l’Italia dovrà rispettare. La Commissione potrà proporre all’Ecofin di far depositare all’Italia un deposito infruttifero presso l’Unione pari al massimo allo 0,2% del PIL;
  • entro agosto: la proposta della Commissione verrà accettata automaticamente, salvo che l’Ecofin voti per rigettarla;
  • entro 3/6 mesi dall’apertura della procedura: la Commissione verificherà la “mancanza di azioni efficaci” da parte dell’Italia e proporrà le sue raccomandazioni all’Ecofin;
  • entro i successivi 2/4 mesi: se le inadempienze continuano e si aggravano, l’Ecofin potrà decidere di aumentare il deposito infruttifero fino allo 0,5% del PIL italiano, la BCE potrà essere esortata a rivedere i prestiti e il Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici potrà sospendere gli impegni e i pagamenti.

Se la procedura proseguirà e andrà a buon fine, le sanzioni diventeranno effettive a partire dal gennaio 2020. Fino ad allora, il confronto si annuncia serrato.

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