Il 29 marzo è scattato formalmente l’articolo 50 del Trattato di Lisbona che ha dato il via alle procedure per la Brexit. Entro due anni il Regno Unito dovrebbe uscire a tutti gli effetti dall’UE
È ufficiale: a circa nove mesi dal referendum del 23 giugno 2016 la Gran Bretagna ha avviato i negoziati per il divorzio dall’Ue. La procedura per la Brexit è partita formalmente lo scorso 29 marzo, quando l’ambasciatore britannico all’Ue, Tim Barrow, ha consegnato nelle mani del presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, la lettera di notifica dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Va detto che i tempi tecnici per completare la separazione non saranno poi così rapidi: ci vorranno almeno due anni per definire tutti i dettagli e non si escludono proroghe e ritardi.
L’agenda della Brexit. Diamo un’occhiata all’agenda per ripercorrere le prossime tappe che porteranno alla Brexit, dopo l’avvio dei negoziati il 29 marzo:
- Maggio-giugno 2017. Nei prossimi mesi il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk dovrà preparare una bozza con le linee guida per avviare i negoziati, a cui si aggiungeranno le raccomandazioni della Commissione Europea: entrambi i testi dovranno essere votati a maggioranza qualificata dai 27 ministri degli Esteri dei Paesi dell’Unione.
- Entro ottobre 2017. Il governo inglese dovrà presentare il Great Repeal Bill, la legge che, annullando l’Atto Europeo Comunitario, ripristinerà la supremazia del diritto britannico su quello europeo.
- Entro ottobre 2018. E’ prevista la conclusione dei negoziati con l’Unione Europea. Il ministro degli Esteri dell’Unione dovrà confermare l’avvio delle ultime procedure utili a concretizzare il divorzio, a seguito di una vincolante votazione a maggioranza del Parlamento.
- Entro marzo 2019. Se tutto andrà secondo i piani, la Brexit dovrebbe essere realtà. Ma non è detto che le negoziazioni abbiano esito positivo. Se non si dovesse trovare un accordo sui termini del divorzio – con l’accettazione all’unanimità dei 27 paesi rappresentati – i negoziati potranno essere prorogati su decisione del Consiglio Europeo.
La reazione dei mercati. Fino ad oggi i mercati non hanno mostrato particolari segnali di irrequietezza, fatta eccezione per la sterlina che si è indebolita sia contro il dollaro Usa sia contro l’euro. Del resto l’uscita dall’Unione sembra destinata ad avere conseguenze più significative per la stessa Gran Bretagna che non per gli altri Paesi membri. Naturalmente è ancora presto per valutare il reale impatto economico della Brexit, ma una prima idea la si può avere dalle le stime di crescita fornite da Bloomberg, che indicano una revisione al ribasso per il Regno Unito: un PIL a quota 1,7% nel 2017 (dal precedente 1,8%) e all’1,3% nel 2018. Attesa in rialzo l’inflazione, al 2,6%, insieme alla disoccupazione, attualmente al 4,9% e prevista per il 2018 al 5,3%.
Altri cambiamenti in vista. L’addio all’Unione comporterà poi grosse conseguenze per il ruolo di Londra come hub finanziario d’Europa. Con la Brexit, infatti, la City perderà i diritti di “passaporto”: significa che non ci sarà più equivalenza fra i servizi finanziari britannici e quelli europei, quindi le banche extra europee non avranno più alcun interesse a usare l’Inghilterra come base per erogare i propri servizi in Europa e inevitabilmente saranno portate a cercare nuovi lidi in cui attraccare. Senza parlare delle novità in arrivo per cittadini comunitari che vivono, lavorano, studiano o semplicemente viaggiano in Gran Bretagna. Per ora resta tutto fermo in attesa della conclusione dei negoziati, ma la musica è destinata a cambiare.
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