A poco meno di un anno dalla decisione sulla Brexit il Regno Unito è chiamato nuovamente a votare. Perché? Cosa è successo sui mercati inglesi in questo lungo anno?
È trascorso circa un anno da quel 23 giugno in cui la vittoria degli antieuropeisti al referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’UE sanciva l’avvento dell’era Brexit, per la gioia degli eterni euroscettici. Eppure le sfide per il Paese non sono finite, tanto che nella terra della regina Elisabetta ci si prepara a tornare alle urne il prossimo 8 giugno. Perché? Le nuove elezioni mirano a rendere più facile la negoziazione con l’UE circa i termini dell’imminente uscita. Intanto, durante questi mesi, i mercati hanno reagito diversamente. Riepiloghiamo insieme.
Il post-Brexit dei mercati. Quando l’allora Premier David Cameron diede le dimissioni, la reazione a caldo dei mercati non fu delle migliori: il giorno successivo al referendum il nostro indice FTSE MIB perse il 12,5%, la caduta peggiore che la nostra storia finanziaria ricordi, mentre il FTSE 100 (l’indice rappresentativo del Paese britannico) si presentò a fine giornata con una performance negativa del 3,15%. Brutta storia. Ma lo sconforto iniziale resiste ancora? Non sembrerebbe. Il FTSE 100 non ha perso tempo per rimettersi sulla giusta rotta e da allora guadagna il +15,5%. Sul fronte valutario invece, la Sterlina inglese è quella che ha accusato più marcatamente l’esito elettorale e, rispetto al dollaro USA, si è deprezzata del 12%: un beneficio per le esportazioni delle maggiori aziende inglesi (che incidono anche sul risultato positivo dell’indice di Borsa), ma anche uno svantaggio per via dell’aumento dei costi per le imprese che importano materie prime ed altri beni dall’estero.
Anche sul fronte obbligazionario l’ottimismo è ancora concesso, dal momento che i rendimenti dei titoli di Stato sono sì scesi, si, ma tutto sommato la discesa è stata in linea con il mercato obbligazionario globale. La Brexit, almeno per il momento, non ha quindi significato un grosso rischio per il Paese inglese.
E le elezioni, perché? La neo Premier Theresa May ha avviato il processo di negoziazione con l’UE per l’uscita del Paese con la richiesta di attuazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, lo scorso 29 marzo. Per capire il perché delle elezioni, è importante ricordare che la Brexit non è stata votata all’unanimità, ma solo dal 51,9% del Paese, che risulta pertanto diviso a metà. La faglia prosegue per il Parlamento, dove alcuni partiti si sono opposti. Appare evidente che una situazione del genere è troppo instabile per ciò che il Regno Unito si prepara ad affrontare. Il partito della Premier, quello dei Conservatori (di centrodestra), raccoglie il 47% dei votanti, contro il 28% dei consensi espressi per il partito Laburista (di ispirazione democratica). In questa situazione, una (presunta) vittoria alle prossime elezioni da parte del partito conservatore sarebbe la sola a garantire una solida maggioranza e, di conseguenza, una più facile negoziazione con l’Unione Europea sulle trattative future.
“Sarà una Brexit durissima”. La trattativa con l’UE non è affatto facile come bere un bicchier d’acqua. Il negoziatore dell’Unione Europea, Michel Barnier, con il sostegno del Presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Junker, ha da poco reso noti i punti chiave su cui si articoleranno questi primi mesi di trattative. Oltre alla tutela dei cittadini coinvolti nella Brexit, al primo posto v’è la richiesta di tenere fede agli impegni finanziari della Gran Bretagna nei confronti dell’Unione Europea: circa 100 miliardi di euro, secondo il Financial Times. L’ingente somma dovuta all’UE, che il Regno Unito spera di rinegoziare, è il motivo per cui la Premier Theresa May ha constatato che “sarà una Brexit durissima”. Il prologo della storia c’è, non resta che attenderne gli sviluppi chiedendosi se per le parti ci sarà, o meno, un lieto fine.
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