Lo scorso 20 settembre si è tenuta la riunione della Fed. Janet Yellen non ha modificato i tassi e ha dato ufficialmente il via al programma di riduzione del bilancio che ormai ha toccato una cifra record. L’inflazione continua a essere un enigma da risolvere
La riunione della Fed tenutasi lo scorso 20 settembre ha avuto come protagonista indiscusso il bilancio della banca, la cui normalizzazione inizierà nel mese di ottobre. Come previsto, non c’è stata alcuna variazione ai tassi di interesse di riferimento che continuano pertanto a rimanere all’attuale livello dell’1%-1,25%. La bassa inflazione che stenta a ripartire resta un vero e proprio enigma. Ecco i principali punti discussi.
La Fed sulla via della normalizzazione del bilancio. Janet Yellen ha dato ufficialmente il via al processo di graduale e lenta riduzione del bilancio che ha raggiunto la cifra record di 4.500 miliardi di dollari. Se nel lontano 2007 il bilancio della Fed rappresentava ‘solamente’ il 5,7% del PIL a stelle e strisce, questo valore oggi è pari al 25%. Il processo, che prende anche il nome di “normalizzazione” del bilancio, sarà realizzato non reinvestendo in nuovi asset una quota dei titoli di Stato e titoli ipotecari in scadenza, operazione che in gergo tecnico è chiamata “roll-off”. La riduzione del bilancio inizierà nel mese di ottobre con un ritmo di 10 miliardi di dollari al mese per gli ultimi tre mesi del 2017, per poi aumentare di altri 10 miliardi di dollari ogni tre mesi. Janet Yellen ha chiarito che la Fed è pronta a riprendere i reinvestimenti dei proventi dei titoli arrivati a scadenza qualora l’outlook economico dovesse peggiorare. Al momento non è stata ancora definita la dimensione che avrà il nuovo bilancio al termine del processo di normalizzazione; alcune stime di mercato prevedono una riduzione complessiva tra i 1000 e i 2000 miliardi di dollari entro il 2021.
Nessuna modifica ai tassi. I tassi di interesse di riferimento non sono stati modificati nell’ultima riunione, e rimangono stabili nel range compreso tra 1% e l’1,25%. L’ultimo rialzo è stato deciso dal comitato di politica monetaria della Fed lo scorso 14 giugno; un ulteriore aumento nella prossima riunione di dicembre resta molto probabile. Per il prossimo anno i governatori della Fed puntano a tassi compresi tra il 2% e il 2,25%, valore che dovrebbe salire al 2,75% entro la fine del 2019. C’è una novità. Viene abbassato di uno 0,25% il punto di arrivo dei tassi, in poche parole quelli di lungo periodo. Se durante lo scorso meeting di giugno questo valore era fermo al 3% di giugno, ora la previsione di lungo termine è del 2,75%. Quando la Fed nel 2012 ha iniziato a comunicare i “dots”, le previsioni dei 17 membri della Fed, la media di lungo termine era pari al 4,25%. I “dots”, termine che in inglese significa “puntini”, sono le previsioni anonime dei membri della Fed sui tassi ufficiali alla fine dell’anno e negli anni successivi. La media dei “dots” indica le previsioni che i membri della Fed hanno sui tassi futuri.
L’economia cresce, ma l’inflazione resta un enigma. Sono state riviste al rialzo le previsioni di crescita dell’economia; +2,4% per l’anno in corso (in rialzo dal +2,2% dell’ultima riunione di giugno), +2,1 e +2% rispettivamente per il 2018 e il 2019. Gli uragani che hanno colpito gli USA dovrebbero avere sull’economia solamente un impatto di “breve termine” e quindi non compromettere il cammino. L’inflazione per l’anno in corso dovrebbe attestarsi intorno all’1,6%, come stimato lo scorso giugno. Tuttavia, la natura della crescita dei prezzi al consumo non è ancora chiara; la Fed non riesce a capire se il fenomeno è solamente temporaneo oppure duraturo nel tempo, ma continua a rimanere fiduciosa sul funzionamento della curva di Phillips. La bassa disoccupazione, che negli USA quest’anno dovrebbe attestarsi al 4,3%, prima o poi darà una spinta ai prezzi, è solo una questione di tempo. Ma nell’incertezza è meglio attendere, ecco perchè la stretta monetaria non è stata così severa.
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